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Corte EDU, sez. I, 13 febbraio 2025, ricorso n. 64066/19, P.P. c. Italia

La Corte Edu condanna l'Italia per violazione degli obblighi procedurali derivanti dall'art. 3 CEDU (Divieto di tortura): la mancanza di indagini effettive da parte delle autorità italiane ha portato alla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Corte EDU, sez. I, 13 febbraio 2025, ricorso n. 64066/19, P.P. c. Italia

Con la sentenza in commento, la I sezione della Corte Edu si è pronunciata con riferimento alla mancanza di indagini effettive in casi riconducibili alla violenza di genere (sub specie di atti persecutori).


I fatti


Il procedimento trae origine dal ricorso presentato da P.P., la quale, dal 2007 al 2009, aveva subito vari episodi persecutori da parte del suo ex fidanzato, A.B.

In questi anni, più precisamente, si erano verificati tre episodi di violenza fisica da parte di A.B. nei confronti di P.P.: 

- una prima volta, A.B. si era gettato su P.P., che era in bicicletta, facendola cadere e strattonandola. Dei passanti, preoccupati per la ragazza, avevano chiamato le forze dell'ordine;

- una seconda volta, A.B. aveva preso violentemente dal collo P.P. obbligandola a salire in macchina. Ritornata a casa, P.P. si recava in ospedale, dove venivano certificate ecchimosi lungo il corpo, graffi e arrossamenti sul collo, che richiedevano una sospensione dalle attività lavorative per cinque giorni;

- una terza volta, durante ad un convegno, A.B. prendeva dai capelli P.P., che si trovava con la sorella, nel tentativo di impossessarsi del suo computer.

Il 21 dicembre 2009, P.P., nel denunciare le gravi condotte perpetrate ai suoi danni, specificava che l'ex partner adottava comportamenti persecutori nei suoi confronti, sorvegliandone gli spostamenti, perquisendo computer e telefono, minacciandola.

La denuncia, tuttavia, veniva formalmente iscritta nel registro delle notizie di reato solo tre mesi più tardi, il 4 marzo 2010. Nell'ambito delle indagini, durate oltre tre anni, P.P. non è mai stata sentita dalla autorità giudiziaria né è stata chiesta una verifica sul cellulare della vittima. Occorre specificare che il reato di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis c.p., veniva introdotto nel febbraio del 2009: solo una parte delle condotte poste in essere da A.B., quindi, acquisiva rilevanza penale attraverso il filtro offerto dall'articolo in questione. 

Terminate le indagini preliminali, A.B. veniva rinviato a giudizio per il reato di cui all'art. 612-bis c.p.

Dopo ulteriori tre anni, il Tribunale di Pisa assolveva con formula piena l'imputato, ritenendo che, nonostante il comportamento molesto dell'agente, P.P. non avesse comunque mai interrotto la relazione con il partner rendendosi, anzi, disponibile ad incontri, accettando anche regali o offerte di lavoro.

Il PM e la parte civile impugnavano la sentenza di primo grado e, in appello, precisato che solo per una parte delle condotte poste in essere dall'imputato era contestabile l'art. 612-bis c.p., A.B. veniva assolto per i fatti comessi prima dell'entrata in vigore del reato di atti persecutori e dichiarava l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione del reato quanto alle condotte poste in essere successivamente alla introduzione della legge.

La Corte di cassazione, nove anni e mezzo dopo dalla denuncia-querela, confermava la prescrizione del reato.



Il ricorso alla Corte Edu


La ricorrente lamenta la violazione degli artt. 8 (Diritto alla vita privata) e 3 CEDU, specie per quanto riguarda gli obblighi di natura procedurale: le autorità non avrebbero, in effetti, svolto delle indagini effettive e, a causa della prescrizione, A.B. è rimasto totalmente impunito.

P.P. segnala, poi, che fino al 2009 non era presente nell'ordinamento italiano una fattispecie ad hoc relativa agli atti persecutori.



La valutazione della Corte Edu


La Corte Edu ritiene che i maltrattamenti subìti dalla vittima rientrino nel perimetro dell'art. 3 CEDU, che coinvolge tanto la violenza fisica quanto quella psicologica.

Viene poi posta l'attenzione sui ritardi delle indagini, ritenendo che le autorità italiane siano così venute meno agli obblighi procedurali derivanti dall'art. 3 CEDU, secondo cui gli Stati firmatari devono porre in essere indagini effettive volte alla individuazione e alla punizione di chi abbia violato il diritto riconosciuto nella Convenzione.

Specie per i reati comunemente ricondotti nel più ampio genus della violenza contro le donne («violences contre les femmes»), dovrebbe essere compito dell'autorità offrire una risposta tempestiva, tenuto conto della particolare vulnerabilità della vittima. La Corte ritiene, quindi, che nel caso specifico, le autorità non abbiano sufficientemente tenuto conto del problema relativo alla violenza domestica e, così facendo, non abbiano offerto una risposta proporzionata alla gravita dei fatti («la Cour considère que, lorsqu’elles ont mené l’enquête pénale, les autorités nationales n’ont pas pris en compte le problème spécifique de la violence domestique et que, en procédant ainsi, elles ont failli à donner une réponse proportionnée à la gravité des faits dénoncés par la requérante» §50).

La Corte di Strasburgo, infine, ribadendo un orientamento già sufficientemente consolidato con riferimento all'art. 3 CEDU esprime i dubbi relativi alla previsioni di termini di prescrizione che permettano di lasciare impuniti i fatti abitualmente ricondotti alla violenza domestica, che rientra tra le violazioni più gravi dell'art. 3 CEDU («la Cour rappelle que les infractions liées aux violences domestiques doivent figurer, même si elles sont commises par des particuliers, parmi les plus graves infractions pour lesquelles la jurisprudence de la Cour considère qu’il est incompatible avec les obligations procédurales découlant de l’article 3 que les enquêtes sur ces délits prennent fin par l’effet de la prescription en raison de l’inactivité des autorités» §52).

Per queste ragioni, quindi, la Corte ritiene violato l'art. 3 CEDU.




 

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