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Cass., Sez. un. pen., 29 gennaio 2016, n. 10959

La nozione penalistica di “violenza alla persona” comprende anche la “violenza di genere”

Cass., Sez. un. pen., 29 gennaio 2016, n. 10959

La Corte di cassazione a Sezioni unite, con la sentenza n. 10959/2016, ha affermato il seguente principio di diritto: la disposizione dell'art. 408 c.p.p., comma 3-bis, che stabilisce l'obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572 cod. pen., perché l'espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario.

La pronuncia assume un evidente “interesse di sistema”, che va ben oltre la specifica questione processuale con cui i giudici di legittimità sono stati chiamati a confrontarsi.

È ormai chiaro, più esattamente, che il concetto di “violenza di genere” sia divenuto parte integrante del “contesto normativo” di diritto interno.

La Corte di cassazione, nella pronuncia in questione, attribuisce ampia rilevanza alle indicazioni ricavabili dalle fonti internazionali ed eurounitarie, che consentono di meglio circoscrivere il concetto di violenza di genere e di collocarlo nel più ampio contesto della violenza alla persona. Dalla lettura delle fonti sovranazionali – osserva la Corte di cassazione – emerge come l’espressione “violenza alla persona” sia sempre intesa in senso ampio, comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche e che lo stalking rientri tra le ipotesi “significative” di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione a favore delle vittime. Si tratta di indicazioni che costituiscono un fondamentale riferimento per addivenire ad una interpretazione delle norme interne conforme al diritto europeo (punto 6.2. del Considerato in diritto).

Si riportano qui di seguito alcuni dei passaggi motivazionali di maggiore rilievo.

6. La nozione di violenza secondo la Convenzione di Istanbul e secondo la Direttiva 2012/29 UE. 6.1. Con L. 27 giugno 2013, n. 77, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa dell'11 maggio 2011 sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Tale Convenzione, entrata in vigore il 1 agosto 2014, dopo aver raggiunto il numero minimo di Paesi firmatari, è vincolante per il nostro Paese e alle prescrizioni in esso contenute si è espressamente ispirato l'intervento legislativo del 2013 che ha introdotto il comma 3-bis dell'art. 408 cod. proc. pen..

Di particolare interesse sono le definizioni contenute nell'art. 3 della Convenzione secondo cui: "a) con l'espressione violenza nei confronti delle donne si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; b) l'espressione violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; c) con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; d) l'espressione violenza contro le donne basata sul genere designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; e) per vittima si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b".

Sono così descritte tre diverse tipologie: violenza nei confronti delle donne, violenza domestica e violenza di genere, accomunate dalla completa parificazione tra violenza fisica e psicologica all'interno del più generale concetto di violenza, da cui, conseguentemente, discende una nozione di vittima riferita a qualsiasi persona fisica che subisce tali forme di violenza.

E' altresì opportuno sottolineare che gli artt. 33 e 34 della Convenzione prevedono la necessaria penalizzazione da parte degli Stati firmatari delle condotte di violenza psicologica e di atti persecutori (stalking); e che nell'ambito delle misure di tutela, sul presupposto che l'accesso all'informazione sia la condizione fondamentale per una concreta ed effettiva protezione, all'art. 56, lett. b) e c), si prevedono a favore della vittima alcuni diritti partecipativi nel processo penale, quali il diritto ad essere informata circa l'esito della denuncia e dell'andamento delle indagini, l'eventuale evasione o rimessione in libertà dell'autore del reato.

All'art. 2, comma 1, della legge di ratifica, contenente l'ordine di esecuzione, è stabilito che la ratifica deve intendersi "nei limiti dei principi costituzionali, anche per quanto attiene alle definizioni contenute nella Convenzione". Come si legge nella relativa Relazione illustrativa, tale dichiarazione interpretativa, conforme a quella resa al momento della firma della Convenzione, "si è resa necessaria in quanto la Convenzione, nel preambolo e negli articoli, si richiama al "genere" di cui offre una definizione ampia ed incerta e che presenta profili di criticità con il nostro impianto costituzionale".

A prescindere dai delicati problemi collegati alla identità di genere, è comunque importante sottolineare che a partire dalla ratifica della Convenzione di Lanzarote si è preso definitivamente atto nel nostro ordinamento della necessità di un contrasto specifico al fenomeno della violenza sulle donne. Con riferimento alla normativa sostanziale, per la realizzazione di tale finalità non sono state introdotte specifiche fattispecie di reato, essendosi ritenute sufficienti quelle esistenti di maltrattamenti, violenza, nelle sue varie forme, specie sessuali, e dei più recenti atti persecutori cui il nostro diritto affida tale compito, fattispecie che sono state via via aggravate con la previsione di aumenti di pena e specifiche circostanze. Ciò ha consentito di dare una risposta unitaria nei confronti di tutti gli autori di reato e di tutte le vittime, senza distinzione in ragione del sesso, come imposto dall'art. 3 Cost., tenuto presente che la violenza di genere è suscettibile di colpire anche gli uomini nei confronti dei quali, ove assumano la posizione di vittima, devono valere gli stessi principi e le stesse norme che più sovente operano a protezione delle donne.

6.2. Con una diversa, più ampia, prospettiva la Direttiva 2012/29/UE, cui è stata data attuazione con il D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, entrato in vigore il 20 gennaio 2016, detta norme minime in materia di diritti all'assistenza, all'informazione, interpretazione e traduzione nonché protezione nei confronti di tutte le vittime di reato, senza distinzione collegata al tipo di criminalità e alla qualità della vittima. In quanto norme minime, gli Stati possono ampliare i diritti contemplati dalla direttiva al fine di garantire una sfera di protezione più elevata, come è avvenuto nel caso in esame atteso che l'obbligo previsto dall'art. 408 c.p.p., comma 3-bis, garantisce, a fronte del semplice diritto a ricevere informazioni sul proprio caso, di cui all'art. 6 della direttiva, una tutela rafforzata delle vittime di alcuni reati.

Gli artt. 22 e 23 della direttiva riprendono il tema della tutela individualizzata, segnalando la necessità di strumenti particolari, per lo più collegati alle modalità di audizione, destinati a soddisfare esigenze specifiche derivanti dal tipo di reato subito e dalle caratteristiche personali delle c.d. vittime vulnerabili, indicando tra le situazioni che devono essere oggetto di considerazione le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, della tratta di essere umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull'odio e le vittime con disabilità. Per dare attuazione a tale disposizione è stato inserito nel codice di rito l'art. 90-quater, che definisce la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa e sono stati in più punti modificate le varie disposizioni relative alla assunzione della testimonianza della persona offesa.

Anche la direttiva in esame fornisce (premessa n. 17) la nozione di violenza di genere, definendola come "la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i c.d. "reati d'onore".

Le donne vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di protezioni speciali a motivo dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e intimidazione e di ritorsioni connesso a tale violenza".

La violenza nelle relazioni strette viene a sua volta definita (premessa n. 18) come "quella commessa da una persona che è l'attuale o l'ex partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere se l'autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico mentale o emotivo, o perdite economiche".

Si tratta di definizioni che non compaiono nei tradizionali testi normativi di produzione interna, ma che tuttavia, per il tramite del diritto internazionale, sono entrate a far parte dell'ordinamento e influiscono sulla applicazione del diritto. Le norme convenzionali recepite attraverso legge di ratifica sono infatti sottoposte, anche alla luce del comma 1 dell'art. 117 Cost., all'obbligo di interpretazione conforme che impone, ove la norma interna si presti a diverse interpretazioni o abbia margini di incertezza, di scegliere quella che consenta il rispetto degli obblighi internazionali.

[omissis]

È da menzionare, infine, la Direttiva 2011/36/UE per la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che ha indicato quali "violenze gravi alla persona" la tortura, l'uso forzato di droghe, lo stupro e altre forme di violenza psicologica, fisica o sessuale. Tale disposizione è stata integralmente recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 24, art. 1, recante, appunto, "Attuazione della direttiva 2011/36UE relativa alla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime e che sostituisce la decisione-quadro del Consiglio 2002/629/GAI".

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